Il c.d. Apollino Milani

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Nella SALA 12 al secondo piano del Museo Archeologico di Firenze sono conservati alcuni importanti esempi di statuaria greca. Qui di seguito riportiamo la scheda analitica del c.d. Apollino Milani, completa di un commento che ne ripercorre la storia della scoperta e la storia degli studi.

Kouroi, Apollini ed ex – voto

La statua “Milani” fa parte di un tipo di statue caratteristico dell’arte greca arcaica; si tratta di una serie di sculture che rappresentano giovani uomini stanti, nudi. Tali statue, denominate “Apollo” od “Apollino” dagli archeologi dell’800, vengono ormai chiamate col termine greco antico di Koûros (pronunzia: ”cùros”; plurale Koûroi, pronunzia: ”cùroi”), che significa “giovane” o “giovinetto”. Ormai il termine ottocentesco di “Apollo” viene usato soltanto quando, come nel caso nostro, ha quasi finito per costituire il nome della statua, consacrato dall’uso di generazioni di studiosi. Il termine nacque dall’errata supposizione che i koûroi greci arcaici rappresentassero statue di divinità, particolarmente di Apollo, offerte al dio dai suoi devoti. I rinvenimenti archeologici di questo secolo hanno rivelato invece che lo stesso tipo di figura viene offerto a qualsiasi divinità e non al solo Apollo e che ad Apollo vengono offerte anche statue femminili. D’altro canto, non si dovrà supporre che nei koûroi s’intendesse raffigurare la persona dell’offerente, tanto è vero che alcuni koûroi recano iscrizioni dedicatorie di offerenti femminili. Si dovranno quindi interpretare i kouroi come ‘begli oggetti’ (agàlmata) offerti a divinità diverse; infatti l’àgalma poteva essere costituito non soltanto da statue, ma anche da altre classi di oggetti (come, ad esempio, dai crateri in bronzo, che sono ex-voto assai comuni nel VII-VI sec. a.C.).

Torso di kouros c.d. Apollino Milani o Torso Milani

N. inv. 99043
Dimensioni: alt. m. 0,66.
Provenienza: Grecia – Acquistato nel 1902 da L.A. Milani ad Osimo (AN): Coll.ne Briganti Bellini.
Stato di conservazione: mancano la testa; le braccia, sotto l’attaccatura dell’omero; nonché la parte inferiore delle gambe (dal ginocchio).
Datazione: 520-510 a.C.

Della capigliatura sono rimaste le estremità inferiori delle dieci “trecce”, che si distendono sulle spalle del koûros. I capelli, ancora lunghi (nonostante il contemporaneo mutamento di moda), sono tuttavia resi con “perle” più sciolte di quanto non avvenisse nei decenni precedenti. Sulle spalle è indicato il rigonfiamento del “trapezio”, che nella scultura greca comincia a venire annotato solo in questo periodo. Sul torace si tenta di mostrare la curvatura della clavicola (convessa verso lo sterno; concava presso le spalle), secondo moduli in uso occasionalmente già dal 540-530 a.C. Le clavicole proseguono sino al “deltoide”. Il margine inferiore del torace è reso con curva semicircolare ed il solco verticale tra sterno e linea alba è indicato con un modellato di scarsissima profondità, in omaggio alla resa anatomica tardo-antica, ormai aliena da ogni netta stilizzazione muscolare. Parimenti, sono scomparse le partizioni lobate del “retto dell’addome”, ancora presenti nell’”Apollo” (di qualche decennio prima); di questo muscolo è annotato, con sfumato delicatissimo, il solco del margine inferiore, parallelo al solco inguinale. Questo ultimo, ben più profondo dell’altro, è indicato con un semicerchio, secondo la resa adottata dal 540 a.C. circa. E’ annotato il rigonfiamento del muscolo “obliquo esterno” sopra la cresta iliaca, secondo moduli già in uso dal 570-50 a.C. (ma ancora schematici nell’”Apollo”, rispetto all’”Apollino”). Le cosce (ed i glutei) risultano singolarmente sviluppate rispetto alla acerba delicatezza del busto: in particolare, appare specialmente robusta la parte interna dei quadricipiti. Evidenti, inoltre, risultano le cavità trocanteriche, sul dorso laterale dei glutei. Sul dorso, scolpito con uno sfumato particolarmente sensibile, sono indicati il solco spinale, le scapole ed il rilievo del “gran dorsale” e dei muscoli “estensori della spina”.

Il piccolo Kouros è stato inserito dalla Richter nel Gruppo di sculture ordinate intorno alla statua n.20 del santuario beotico di Apollo Ptoios, ovverossia nel più recente raggruppamento di kouros che raccoglie opere datate tra l’ultimo ventennio del VI a.C. e gli inizi di qello successivo, caratterizzate da quella piena e completa consapevolezza dele possibilità espressive della figura umana che porerà al superamento dello schema convenzionale del kouros verso manifestazioni più naturalistiche e con una più coerente relazione tra il movimento e la penetrazione dello spazio.

Dei due kouroi fiorentini quello minore è sempre stato considerato l’opera di più elevato livello artistico e di maggiore qualità formale. A partire da Antonio Minto e da Gisela Richter infatti la statua è stata generalmente posta in relazione con veri capolavori della scultura attica del tardo VI a.C:, soprattutto con il cd. Teseo dell’Acropoli di Atene. Il torso Milani sembra condividere con le opere del tardo arcaismo attico la struttura slanciata e il dinamico ritmo interno, così come il movimento muscolare che rende le superfici particolarmente vivide. L’intera figura è dominata dal modellato particolarmente sensibile e delicato dell’incarnato, dalla graduale fusione dei piani. Il kouros è legato all’ambito delle opere greco-insulari, con le quali è stato confrontato almeno per le singole caratteristiche. Potrebbe essere attribuito ad uno scultore attico degli anni fra il 520 e il 510 a.C. che lavorò proprio per quell’ambiente raffinato e artisticamente vivace, fortemente permeato da suggestioni e spunti formali di derivazione greco-orientale, quale era Atene negi ultimi anni della tirannide dei figli di Pisistrato.
Vanno tuttavia almeno ricordate alcune opinioni differenti, come quella di Joseph Floren, che assegna il Torso Milani alla cerchia dell’officina del kouros del Louvre e quindi a scuola paria, e quella di Enrico Paribeni che vede un contrasto fra il modellato soffuso e morbido ma frantumato del Torso, e le linee unitarie di contorno e di costruzione proprie del cd. Teseo dell’Acropoli, smontando quindi quello che era ritenuto finora il più solido punto d’appoggio per la nostra piccola statua e suggerendo un inseriimento nella serie dei kouroi di produzione beotica, i cui rapporti e in qualche caso le dipendenze dai moduli scultorei cilcadici sono spesso palesi.