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La Pittura greca dal IV sec. a.C. all’Ellenismo
I. Le fonti e la documentazione archeologica

Perduti i loro originali, quanto sappiamo sui grandi pittori della fine del V secolo a. C. e del IV secolo a. C. (che precedono l’affermarsi di vere e proprie scuole pittoriche) e le notizie su queste ultime ci provengono da ciò che scrivono Platone, Aristotele e soprattutto Plinio il Vecchio. Tali dati vanno integrati con i riflessi che, della “Grande Pittura”, restano nei reperti archeologici decorati pittoricamente e giunti fino ai nostri giorni. Questo percorso di approfondimento si basa su una serie di monumenti di classi diverse che permettono di individuare un’eco delle conquiste tecniche e spaziali proprie della pittura. Se già per il periodo arcaico e classico è difficile seguire lo sviluppo della Grande Pittura a causa della perdita degli originali, per la fine del V secolo e per il IV secolo a. C. la situazione si presenta ancor più complessa. La produzione di vasi dipinti, infatti, per i limiti spaziali e tecnici propri della classe, non riesce più a rispecchiare le sempre più articolate innovazioni dei pittori; inoltre la ceramografia attica, che aveva fino ad ora rappresentato per noi il più valido documento utile per la ricostruzione di quanto avveniva nella “Grande Pittura” coeva, si esaurisce intorno alla metà del IV secolo a.C. Anche prima, tuttavia, lo sviluppo delle tecniche pittoriche (dall’uso della “linea funzionale”, attraverso la pittura di ombre e la pittura a macchia, per arrivare al “cangiantismo”) può essere solo in parte ricostruito attraverso le pitture dei vasi che risultano di tipo sempre più artigianale; apparirà tuttavia evidente, attraverso di esse, il diverso orientamento nella scelta dei temi trattati da ceramografi e pittori, mentre la policromia verrà ridotta dai primi a sovradipinture in bianco, giallo e paonazzo.

II. Principali tappe della “Grande Pittura” antica dal periodo tardo classico all’ellenismo

A partire dalla metà del V secolo a.C., non sempre i ceramografi sono in grado di seguire le innovazioni proprie della “Grande Pittura”, che scopre un nuovo uso del disegno applicato a composizioni complesse su più piani; inoltre, spesso, il limitato spazio della superficie vascolare non permette la riproduzione dei temi grandiosi delle pitture murali. Ma nonostante questo, l’influenza della “Grande Pittura” sulla ceramografia è da ricercare, oltre che nella riproduzione degli stessi soggetti, anche nei tentativi di un adeguamento ai progressi in atto, pur con i mezzi limitati propri del genere artistico in questione, la ceramografia appunto. Esiste ad esempio una classe di vasi, le lèkythoi a fondo bianco, che offre un campo pittorico simile, per forma e per colore, a quello delle pitture su parete o su tavola. Nelle pitture di questi vasi è possibile intravedere un’intensità di espressione delle figure umane che è il risultato dell’approfondimento psicologico degli artisti di questo periodo; sono soprattutto la tecnica particolare, non più bicroma (come sugli altri vasi) ma legata all’uso dei quattro colori fondamentali e la nuova libertà nell’uso della linea, che ci fanno supporre una diretta dipendenza di queste opere della seconda metà del V secolo a.C. dalle innovazioni introdotte dai pittori, ed in particolare da Parrasio. La pittura della fine del V secolo a. C. affronta problemi di spazio e prospettiva ma non affronta ancora problematiche legate all’uso del colore, come invece accadrà nel IV secolo a.C. La ricerca di una definizione dello spazio pittorico nel quale si muovano ormai liberamente le figure sarà pertanto il punto centrale della ricerca degli stessi ceramografi, come risulta evidente nelle raffigurazioni delle due facce del cratere etrusco degli Argonauti (n.inv. 4026, SALA 4). Le figure degli eroi sul lato A del vaso sono rappresentate naturalisticamente, senza la tripartizione dei corpi e risultano collocate in uno spazio naturale, accennato da linee di piani rocciosi. La “linea funzionale” che allude a volumi e scorci è ormai pienamente accettata. Nello sviluppo della “Grande Pittura”, da una parte troviamo queste ricerche tecniche, dall’altra si ha una evoluzione nelle scelte dei soggetti, che divengono sempre più “di genere”, slegati dalla vita politica e dalle grandi commissioni pubbliche; i temi trattati derivano adesso dalla vita quotidiana o anche dalla mitologia, ma limitata quest’ultima al mondo di Dioniso e di Afrodite, due divinità fra le più “disimpegnate” del pàntheon greco. La predilezione per le scene di genere ed il mondo femminile popolato di eroti è evidente anche nelle opere dei ceramografi attici della fine del V secolo a.C., come in quelle del Pittore di Meidìas (vedi le kalpìdes nn.inv. 81947 e 81948, non esposte).
Scultura greca
NASCITA DELLA SCULTURA GRECA – LA RAPPRESENTAZIONE DELLA FIGURA UMANA

Contatti del mondo greco con il vicino Oriente e nascita della statuaria monumentale

La nascita della statuaria monumentale nel corso del VII sec. a.C. (periodo orientalizzante) non è, probabilmente, che una delle conseguenze del rinnovato contatto del mondo greco con le civiltà del vicino oriente, in particolare l’Egitto. Fino a circa la metà del VII sec. a.C. (orientalizzante medio) gli artigiani greci non osano superare la piccola o media dimensione, continuando a realizzare statuette in bronzo a fusione piena o in terracotta da matrici cave, secondo una tradizione che perdura dal geometrico (IX-VIII secc. a.C.) e che sembra risalire ai periodi minoico (1900-1400 a.C.) e miceneo (1600-1200 a.C.). I rinnovati contatti con il mondo orientale soprattutto in aree (Creta e le Cicladi) tradizionalmente privilegiate, fin dai tempi della fioritura della civiltà minoica, dagli stimolanti apporti della civiltà egizia, sembrano invitare i Greci allo sfruttamento dei ricchissimi giacimenti di pietre calcaree (più facilmente lavorabili) e di marmi bianchi (solo in un secondo momento sfruttati) per la realizzazione di statue di notevoli dimensioni.

Dedalo, mitico “inventore” della statuaria

Per unanime consenso delle fonti letterarie antiche la figura mitica e leggendaria di Dedalo, ateniese di stirpe ma operante soprattutto a Creta e nelle Cicladi, incarna e simbolizza la fioritura della più arcaica statuaria monumentale. Ne è invalso, nei moderni studi sulla scultura greca, definire “dedalico” il peculiare stile che si viene definendo nel corso del VII sec. a.C. Non mancano oscillazioni in merito alla cronologia precisa dell’attività di Dedalo. Una parte della tradizione sembra fissare solidi sincronismi con le mitiche età di Teseo e di Minosse. Altre fonti sembrano invece abbassare considerevolmente la cronologia dell’attività di Dedalo, fino a farne il capostipite delle principali scuole della scultura arcaica. L’ateniese Endoios sarebbe, così, un discepolo di Dedalo allo stesso modo di Dìpoinos e Skyllis, fondatori della scuola sicionia (dalla città di Sicione, in Peloponneso), mentre, nella descrizione diodorea (Diodoro Siculo I, 98, 5-9), i capolavori dei samî Tèlekles e Theòdoros non sembrano distinguersi dalle opere di Dedalo. Queste ultime, del resto, ci vengono descritte, da Diodoro (IV, 76, 1-3), come tipicamente arcaiche, non facilmente distinguibili dai capolavori della scultura di VI sec. a.C. Nonostante questi limiti, la definizione di “stile dedalico” per la statuaria di VII sec. a.C., tenendo conto della presenza del mitico Dedalo a Creta e nelle Cicladi e quale capostipite delle principali scuole di scultura greca, si adatta bene a definire uno stile diffuso in maniera piuttosto omogenea in tutta la Grecia propria, con differenze regionali e locali ancora non molto sensibili.

Creta e la fioritura dello stile dedalico

Creta resta, nel VII sec. a.C., e nonostante tentativi di sminuirne il ruolo, l’epicentro di questo “stile dedalico”. A Creta nel corso della prima metà del VII sec. a.C. si definiscono, nella piccola plastica, i canoni e le regole fondamentali della rappresentazione della figura umana, nelle sue varianti, maschile e femminile, canoni e regole tradotti, a partire dal 650 circa, nelle grandi dimensioni. E’ nel corso della seconda metà del VII sec. a.C. che le ricerche e le sperimentazioni degli scultori portano alla definizione dei due tipi del koùros e della kòre, ossia del giovane uomo e della giovane donna, stanti, che tanta fortuna conoscono nell’arte greca fino ad almeno gli inizi del V sec. a.C.

Definizione dei tipi del kouros e della kore

Per più di un secolo e mezzo, grosso modo fra la fine del VII e gli inizi del V sec. a.C., gli scultori non osano modificare sostanzialmente lo schema-base della figura maschile o femminile immobile, un piede avanzato, le braccia parallele ai fianchi o portate al petto, la testa eretta. Gli scultori approfondiscono tuttavia e perfezionano, con caparbietà, lo studio dell’anatomia del corpo umano (soprattutto nei koùroi) e la resa del panneggio (soprattutto nelle kòrai), sia inseguendo raffinate eleganze decorativistiche che preoccupandosi di una coerente rispondenza fra struttura corporea e panneggio. Gli scultori del VII secolo, ancora alle prese con considerevoli problemi tecnici, sono ben lontani dal porsi problemi complessi di resa anatomica.

Le figure umane appaiono sostanzialmente “prigioniere”, nella loro solida stereometria, degli originari blocchi sbozzati e squadrati: sulle quattro facce del blocco, adeguatamente definite nella loro geometria da una griglia quadrettata, gli scultori riportano il disegno, eseguito in scala minore, delle quattro vedute principali della figura. La realizzazione della statua avviene, va da sé, a partire dalle quattro facce principali del blocco. Comprensibilmente, un problema che si porrà con crescente urgenza agli scultori, sarà quello dell’incontro dei quattro piani principali. Finché il problema non verrà risolto le figure appariranno sempre, soprattutto nella visione di tre quarti, inorganicamente spigolose. L’impressione di rigore geometrico è confermata dalla solida costruzione triangolare dei volti maschili e femminili, dai grandi occhi. Al triangolo del volto corrisponde il doppio triangolo della “parrucca a ripiani” appiattita sulla fronte e ricadente, ai lati, in grosse e fitte trecce.

I corpi maschili appaiono possenti, ben scanditi nella giustapposizione di masse geometriche e poco definiti nella loro anatomia. La resa anatomica si limita a solchi, del resto poco profondi, utili a definire e delimitare masse più che a suggerire la complessità della struttura corporea umana. A una vita stretta, spesso sottolineata dal cinturone del perizoma, corrispondono un torso possente dalla forma geometrica, triangolare, glutei e cosce carnose progressivamente assottigliantisi.

Le figure femminili appaiono avvolte in pesanti pepli, policromati e spesso riccamente decorati da sottili incisioni. La struttura corporea non traspare giacché i pesanti tessuti sembrano tutto appiattire e uniformare, suggerendo solo il gonfiore dei seni o, viceversa, l’assottigliarsi della vita in corrispondenza del cinturone. Sulle spalle si distende, di regola, un pesante mantello che sembra imprigionarle, dispensando spesso lo scultore dal distaccare le braccia dai fianchi (ciò che le avrebbe rese più fragili, compromettendone la salvaguardia). Colpisce la rigida simmetria con la quale il mantello aderisce alle spalle e ricade giù, quasi a evitare ogni movimento espansivo delle braccia.

Crisi dello stile dedalico

Lo stile dedalico non manca di far sentire il suo influsso sulla plastica degli inizi del VI sec. a.C., come testimonia la statuetta plumbea del Museo Archeologico di Firenze (inv. 99044). Ma qualcosa sembra già muoversi in direzione di una rinnovata volontà di adeguamento al dato naturale e del prevalere oramai sempre più evidente di tendenze locali, con la nascita di scuole regionali.
Prima Guerra Sacra
Guerra avvenuta intorno al 590 nell’ambito dell’Anfizionìa delfica, cioé della lega che raccoglieva i popoli della Grecia centrale, costituita intorno al santuario di Delfi. Gli Ateniesi, i Tèssali e il tiranno di Sicione si allearono contro i Focesi di Crisa, che pretendevano un contributo dai pellegrini diretti al santuario di Delfi, e annientarono quella città; Delfi fu dichiarata indipendente e la zona che da lì conduceva al mare fu consacrata al santuario; ai Focesi, nel cui territorio si trovava Delfi, fu proibito di coltivare la terra sacra.