La tragedia nel teatro greco antico

  • Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:Uncategorized

TRAGEDIA E DRAMMA SATIRESCO

Il dramma greco non consiste solo di parti recitate, ma, a differenza di quello moderno, comprende anche parti musicali, cantate e danzate dal coro nell’orchestra (la parte circolare del teatro frapposta fra il palcoscenico e le gradinate del pubblico). La parola ‘commedia’ deriva infatti dal termine greco kòmos, che significa ‘danza’. ‘Tragedia’ significa a sua volta ‘canto del caprone’ e si riferisce probabilmente ai membri del coro, che nelle opere più antiche comparivano travestiti da satiri.

Satiri e sileni

I satiri erani degli esseri mitologici legati alle ninfe dei monti e più tardi al dio del vino, spesso confusi con i sileni, evidentemente perché sia gli uni che gli altri erano esseri semiferini. Gli studiosi hanno individuato dei tratti caratteristici che contraddistinguerebbero i ‘sileni’ come esseri dalle membra umane, il naso camuso e la coda equina che compaiono sui vasi attici del VI e V sec. a.C., e i ‘satiri’ come esseri con zampe e coda di capra protagonisti delle leggende mitiche del Peloponneso; i monumenti figurati del Peloponneso non offrono però rappresentazioni di ‘satiri’ caprini, ma semmai di ‘comasti’. Bisognerà allora supporre che gli antichi Greci non facessero differenza fra i due termini di satiro e sileno, anche perché in effetti usano indifferentemente ora l’uno ora l’altro. Non dobbiamo stupirci del fatto che figure così comiche compaiano nelle tragedie più antiche, perché Dioniso fu sempre considerato patrono del teatro greco. Ad Atene le rappresentazioni tragiche erano quindi delle sacre liturgie di cui si occupava lo Stato, imponendone l’allestimento ai cittadini più ricchi, detti in quell’occasione ‘coreghi’. Il sacerdote di Dioniso aveva un posto di rilievo a teatro, mentre la thyméle (l’altare) del dio si trovava al centro dell’’orchestra’.

L’origine della rappresentazione tragica

Tutto intorno alla thyméle danzava il coro, intonando parole che nei primi tempi non si basavano su di un testo già scritto, ma venivano improvvisate sul momento. Questi canti concitati venivano chiamati ‘ditirambi’ ed i poeti continuarono a comporli anche quando il coro cessò di intonarli nelle tragedie. Queste infatti mutarono a poco a poco di argomento e di stesura, fino ad assumere la forma canonica. Sia gli abitanti dell’Attica, la regione di Atene, che quelli del Peloponneso, si vantavano di avere ‘inventato’ la tragedia. Diversi motivi fanno però supporre che avessero ragione i secondi: prima di tutto per l’origine peloponnesiaca dei satiri, e poi perché nella tragedia gli stasimi (le parti cantate dal coro) mantengono sempre una patina dialettale dorica; infine, perché verso il 600 a.C. nel Peloponneso si cessa di dedicare il ditirambo solo a Dioniso e si comincia a comporlo anche intorno ad altri dèi ed eroi, magari celebrandone la morte con canti collettivi (thrênoi). I nuovi argomenti erano per lo più desunti dall’epica e non erano sempre noti al pubblico. Ciò spiega perché intorno al ditirambo si sviluppano le parti recitate (rhêseis): prima, infatti, tutti conoscevano le leggende di Dioniso, mentre adesso gli argomenti riguardano eroi che non sempre gli spettatori conoscono bene. Del resto, il pubblico è abituato al dialogo, perché già nel ditirambo i cantori rispondevano al corifeo (un membro del coro che aveva una parte più caratterizzata all’interno del dramma) che incominciava il canto. Si allungano anche i cori, giacché devono approfondire il racconto, e si fa strada l’idea di preparare i presenti allo spettacolo, facendolo precedere da un prologo recitato. Poiché il canto si è tanto esteso, rischia continuamente la prolissità: si preferisce allora alleggerirlo, intercalandolo con episodi recitati dagli attori. Gli scrittori antichi sostengono che queste novità vengono introdotte da Tespi, un autore di Ikarìa, vissuto nel VI sec. a.C., che avrebbe visitato i vari demi dell’Attica con un carro che gli serviva da palcoscenico. Naturalmente si tratta di una leggenda: non bisogna credere che Tespi inventasse da solo novità che si svilupparono certo gradualmente.